San Michele Pavia: Teodolinda e San Colombano
La chiesa di San Michele di Pavia si lega a Teodolinda e San Colombano per due episodi distinti. Le incoronazioni dei Re che partono dai Longobardi fino ai giorni nostri legate prettamente alla Corona Ferrea e la custodia del corpo di San Colombano.
Presso la Chiesa, sul pavimento della navata centrale, troviamo un particolare mosaico a piccoli tasselli che circonda cinque cerchi di marmo che a loro volta racchiudono, nella parte centrale, la riproduzione della Corona Ferrea con una frase in latino che fa riferimento alla cerimonia solenne. Questo era il punto esatto in cui avvenivano le incoronazioni.
La prima basilica di San Michele fu costruita probabilmente intorno al 630 dc trovando riscontro nel 667 in documenti scritti. Inizialmente non era ancora considerata come Basilica per le cerimonie di incoronazione ma dall’800 diventa luogo di riferimento.
Nell’anno 1004 un incendio distrugge parte della chiesa che viene ricostruita ed ampliata sotto il nome di San Michele Maggiore forse per differenziarla da San Michele Minore sorta poco fuori Pavia. Sappiamo per certo che qui, il 17 aprile del 1155, un grande devoto di Michele sarà incoronato Re, Federico Barbarossa, che unirà spesso il suo nome all’Arcangelo e ad una Congregazione nota dal 1129, i Monaci Eremiti Pulsanesi detti gli Scalzi provenienti dalla Terra Garganica.
Nel luglio del 929 si rende necessario mettere a protezione l’arca con il corpo di San Colombano dal monastero di Bobbio a seguito di mire espansionistiche del Vescovo di Piacenza. Fu un breve spostamento ma dal carattere miracoloso.
Il percorso era stato studiato nei minimi dettagli affinché toccasse tutte le terre attorno al monastero a protezione dei feudi. Troviamo traccia del passaggio miracoloso nei Miracula sancti Columbani redatto nel X secolo da un monaco bobbiese che racconta di prodigi e miracoli avvenuti a passaggio dell’arca sacra ma soprattutto della guarigione miracolosa avvenuta in S. Michele di Lotario figlio di re Ugo, colpito da forti febbri.
A conferma delle cattive intenzioni del Vescovo piacentino Guido e dell’appropriazione di alcuni beni del monastero fu il rifiuto, da parte del vescovo, di bere dalla coppa del Santo e la sua fuga improvvisa non lasciò dubbi. L’arca torno presso l’Abbazia di San Colombano non senza ulteriori miracoli lungo il percorso.